Fine della nostra cristianità
Le dure accuse del vescovo di Como nel suo libro «Fine della nostra cristianità».
I dubbi sul dopo Wojtyla «Il cattolicesimo italiano si estinguerà»
(Tratto da Il Corriere della sera del 24 Aprile)
Da qualche tempo nel cuore amareggiato del vescovo di Como, Alessandro Maggiolini,
rimbomba una terribile invettiva del profeta Ezechiele (16,33): «Alle adultere si sogliono fare
doni, ma tu hai fatto doni a tutti i tuoi amanti».
Ecco, monsignor Maggiolini confida agli amici che purtroppo quell'immagine della prostituta
che si concede non per denaro, ma per il gusto di peccare, gli ricorda da vicino la Chiesa
italiana contemporanea.
Un'immagine troppo forte, che dunque non comparirà nel libro consegna to all'editore Piemme,
la cui uscita è prevista a metà maggio con il titolo inequivocabile «Fine della nostra
cristianità».
Ma lui, strenuo difensore della tradizione e capo di una importante diocesi lombarda, si
sente in dovere di lanciare un allar me che di certo farà discutere.
Anche se, assicura, il libro lo ha scritto con sofferenza e non certo per il gusto di dare
scandalo.
«Mi si darà sulla voce perché ho messo in evidenza le fragilità e le mancanze della Chiesa
italiana», prevede.
Ma non poteva stare «al gioco di un silenzio impacciato e greve, interrotto quasi soltanto
da gridolini striduli e dolciastri di consolazione e di gioconda spensieratezza».
Già, perché il vescovo di Como, notoriamente vicino alle posizioni conservatrici del
cardinale Biffi, è convinto che la specifica forma di cristianità assunta dal cattolicesimo
italiano possa essere destinata all' estinzione, come già in passato scomparvero le grandi
Chiese di San Paolo (Corinto, Efeso, Tessalonica) e di Sant' Agostino (Ippona, Cartagine).
E se quelle comunità furono cancellate prima dagli scismi e poi dall'avvento dell'Islam, da
noi lui invece si figura «gente che se ne va dalla Chiesa non sbattendo la porta: per noia,
piuttosto».
Lo dichiara brutalmente: «Dubito che si potrà conservare ancora a lungo quel poco di
cristianità che ancora rimane tra noi».
E fa impressione sentirselo dire non da un singolo prete dissidente, ma da un teologo che
ha assunto precise responsabilità a capo del suo gregge di fedeli.
Del resto, incalza Maggiolini, viste le condizioni in cui versa la Chiesa italiana, non solo
nessun principio dogmatico ci assicura che durerà ancora a lungo, ma non è neppure detto
che sia bene che duri.
Spietato è il suo ritratto dell' «ex credente italiano» che ormai non si confessa più,
scandisce il tempo sulle ricorrenze sportive piuttosto che su quelle di fede, accetta l'idea
che le chiese si trasformino in sale per concerti e conferenze.
Una cristianità che appare «desiderosa di omologarsi alla cultura della nostra società
affluente, nauseata e dimissoria: desiderosa di estenuarsi e di estinguersi».
Neppure la grande autorità morale di Giovanni Paolo II è in grado da sola di evitare la
catastrofe.
Sia pure con la dovuta cautela, Maggiolini pone l'interrogativo angoscioso del dopo Wojtyla:
«Non so che cosa troveremo sul piccolo schermo televisivo allorchè saranno spenti i
riflettori sul bianco che domina ora. Domina e attrae alcuni. E incombe su altri. Dio ce la
mandi buona».
Ma poi, domanda, in assenza di una religiosità consapevole e diffusa, «è davvero così utile
il dilagare del sacro reso - bon gré, mal gré - spettacolo?».
Contrariamente al suo amico e maestro Giacomo Biffi, monsignor Maggiolini non sembra
preoccupato tanto dalla minaccia dell' invasione islamica, quanto invece
dall'autodissoluzione, una frana interiore favorita dalla liturgia moderna che espunge il
momento dell' eucarestia, rifugge la disciplina e l' obbedienza, esalta il dialogo come
valore in sé.
Con l'Euro al posto di un'Europa che rinnega così la sua storia, «ci stiamo avviando a una
situazione dove, in fatto di religione, somiglieremo forse ai negretti e agli indios da
catechizzare: negretti e indios ben pasciuti, un poco annoiati e abbastanza raffinati».
Naturalmente il credente Maggiolini esclude che la frana italiana trascini con sè la fine
del cristianesimo, destinato semmai a spostare il suo baricentro in altre regioni del
pianeta e a rinnovarsi nel futuro.
Ma questa sarebbe solo una magra consolazione per i cattolici della penisola.
Costoro sarebbero indotti a vivere la Chiesa come «istituzione umana, soltanto umana,
mondana perfino», anche in seguito al «mea culpa» voluto dal papa nell' anno del Giubileo.
Una confessione delle colpe storiche commesse dai figli della Chiesa che monsignor
Maggiolini non riesce a condividere: «Spesso, ciò per cui noi oggi domandiamo perdono era
opera di santi canonizzati. Che facciamo? Un' appendice al giudizio particolare che termini
in una sorta di epurazione dal paradiso?».
Con simili premesse, attacca Maggiolini, pur precisando che non è certo questa l'intenzione
del papa, «ci si potrebbe domandare se convertirsi alla Chiesa cattolica non coincida con
l'aderire a una banda di manigoldi».
Niente meno.
La provocazione, dunque, è durissima, sia per gli argomenti proposti, sia per l'incarico
pastorale dell'autore di «Fine della nostra cristianità».
Maggiolini non si accontenta di un futuro di «pochi ma buoni»: « I pochi li raggiungeremo
presto; i buoni saranno quelli di sempre».
E allora nella curia di Como ci si prepara alle obiezioni, alle stroncature, purchè non
siano «sospiri lacrimosi».
Almeno si riconosca il tormento che ha ispirato l'autore, che non riesce a dimenticare
l'invettiva di Ezechiele.
Gad Lerner
(c) Corriere della Sera
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